martedì 7 settembre 2010
Imbarazzante
giovedì 2 settembre 2010
Endemicità
Sono una di quelle studentesse che l'università (SciPol) l'hanno fatta nei tempi (3+2), facendo pure un anno in Erasmus e che ora - dopo un anno di internship - torna "sui banchi", in un'università straniera. Non vorrei sembrare la solita, estrema pessimista: i casi vanno valutati singolarmente e, in un certo senso, è normale che in un paese dove tutti, volenti o nolenti, senza nemmeno chiedersi perchè, si iscrivono all'università e tutti - chi un decennio, chi in meno tempo - arrivano al traguardo della laurea, poi non ci siano abbastanza posti di lavoro "qualificati".
Proprio per questo io penso che il problema sia ben più endemico di quello qui messo in luce: è l'intero sistema che è sbagliato. E' sbagliato non valutare i voti del liceo (ed è sbagliato che in Italia i ragazzi delle scuole private siano dei "clienti" da soddisfare, quindi privilegiati), è sbagliato che un esame si possa ripetere 20 volte, è sbagliato che le tasse rimangono uguali anche per i fuoricorso...è sbagliato che gli esami siano in gran parte orali. Sia ben chiaro, io adoro gli esami orali e penso che in certe facoltà sia una gran cosa poter esporre le proprie abilità oratorie, ma - ancora una volta - in un sistema come quello italiano, dove il potere della conoscenza (non quella accademica!) ed i personalismi sono così forti non è un metodo affidabile.
Gli esami in UK li ho sempre fatti scrivendo solo il mio numero di matricola, che non ci era mai permesso scrivere in abbinamento al nome: di fatto, il professore non sa "chi" sta correggendo. Sembrano piccoli accorgimenti, a raccontarli così, ma i risultati sono ben più macroscopici.
La diffidenza che si riscontra verso una laurea conseguita in Italia è piuttosto fastidiosa (volendo minimizzare il sentimento...), per coloro che provano ad uscire da questo paese in cui siamo tutti Dottori. Per la maggior parte dei ragazzi, però - che si apprestano a rimanerci in questo sistema - che sono cresciuti con questa mentalità e per i quali questi sembrano solo discorsi di un'esterofila incallita non c'è alcun bisogno di cambiare...tanto per lamentarsi c'è sempre tempo, dopo.
giovedì 4 febbraio 2010
Perchè amiamo Severgnini
Riporto integralmente l'intervento odierno:
"La mia Londra e i bamboccioni
Beppe Severgnini,
Mezz’ora in tondo sopra l’aeroporto, bagagli veloci, trasporti cervellotici, cassiere lente, teatri strapieni (Enron, wow!), calciatori priapici (Chelsea, urca!), gabbiani eccitati, poltrone sensuali, inverni pavidi senza neppure il coraggio del gelo: che bello tornare a Londra.
Sono qui per festeggiare la 100° Pizza Italians (venerdì) e i vent’anni del mio primo libro, Inglesi (ieri sera e stasera). Sentirsi un reduce è il sogno segreto di ogni italiano, e non faccio eccezione. Anzi: sono felice di provare questa sensazione a cinquant’anni, davanti ad almeno altrettanti ascoltatori. Poi gli anni aumentano e gli ascoltatori diminuiscono; anzi, tendono a darsi alla fuga. Perciò è bene muoversi per tempo. Londra è la città al mondo, dopo Crema, in cui ho vissuto più a lungo; e tra le due, come sapete, c’è differenza. Sono arrivato per Il Giornale di Montanelli, avevo 27 anni. Dividevo la casa con una scultrice inglese e un riparatore di tappeti egiziano, immerso in fumi sospetti fin dal mattino. Vivevo a Rudloe Road, Clapham South, stessa strada del cantante Bob Geldof. Ogni tanto lo vedevo passare: era l’unico più spettinato di me. Quando l’ambasciatore Bottai ha invitato in residenza a Grosvenor Square i corrispondenti dei giornali italiani, sulla porta mi hanno guardato male: dove hai trovato questo invito? Dov’è tuo padre?
L’anno dopo mi sono trasferito in un seminterrato a Notting Hill. Era il 1985, quattordici anni prima del film omonimo. Un giorno ho scoperto d’abitare nell’ultima dimora conosciuta di Jimi Hendrix (20, Lansdowne Crescent W11): un destino rock di cui andavo orgoglioso. Quando i miei sono venuti a trovarmi, per poco mia madre non scoppia in lacrime: «Mio figlio vive in un sottoscala!». Mamma, le spiegavo: non è un sottoscala, è un basement. Ma lei vedeva la spazzatura davanti alla porta, e non era convinta. Mi sono abituato in fretta alla situazione, e ho cominciato addirittura ad apprezzarla. Quando vedevo molti sacchetti di plastica con l'insegna del vicino supermarket, sapevo che di sopra ci sarebbe stato un party. Quando trovavo molte bottiglie vuote, sapevo che c'era stato un party. Non ero mai invitato, ma mi sentivo parte della famiglia. La posizione interrata mi permetteva di studiare altre strabilianti abitudini inglesi, oltre al vizio diffuso di scolare tutto quello che c’era in casa, con l’eccezione del liquido per i piatti (che non risciacquavano). Perché le ragazze, d’inverno, non portavano le calze? Non avevano freddo? Certo che ce l’avevano. Lo dimostravano le gambe blu, peraltro intonate al rosso delle scarpe e al bianco delle caviglie: una combinazione patriottica, ma poco estetica. Forse pensavano d’essere sexy? Impossibile: gli Avatar erano ancora là da venire. So che in Italia, in questi giorni, si parla molto di bamboccioni, e qualcuno li difende, sostenendo che sono un simbolo dell’astuzia e della praticità italiana (vivere vezzeggiati fino a quarant’anni!). Io dico: mamme e papà, cacciateli di casa. Non domani: stasera. Altrimenti li derubate di ricordi come i miei."
Educatori ed educandi
I giovani imputati, infatti, pare non abbiano mai mostrato reale comprensione per l'accaduto, nè che si siano mai espressi in maniera empatica nei confronti della loro vittima, mostrando - quindi - una completa dissociazione tra la sfera sessuale e quella dei sentimenti, oltre ad una non comprensione dell'importanza del rispetto della persona in quanto tale e della sua libertà.
Piuttosto patetiche ci sono parse le attenuanti avvalse dalla difesa, quali l'aver fatto frequentare ai figli i corsi di educazione sessuale previsti all'interno dell'orario scolastico (le posso immaginare le ore di educazione sessuale fatte a scuola, perchè ci provarono anche con noi a metà degli anni '90...) ed il "rispetto degli orari di rientro a casa"...come se non si fosse stati tutti adolescenti e non si sapesse che ciò che uno vuol fare lo può fare anche quando fuori splende il sole!
E' in queste giustificazioni che emerge tutta l'ipocrisia borghese tipica di questi tempi, dove all'interno della famiglia non si parla di sesso, nè di relazioni sentimentali, o lo si fa troppo presto. Vediamo bambini che vengono spinti a comportarsi come dei mini-adulti, costantemente costretti a parlare di "fidanzatini" e "fidanzatine" (cosa che mi fa letteralmente rabbrividire), per poi essere completamente abbandonati quando le cose si fanno serie.
Mi chiedo quale sia il problema di fondo per cui un genitore, ormai cresciuto o, comunque, immerso negli standard di una società piuttosto disinibita, non riesca ad avere con i propri figli un confronto su questi temi. Forse, invece, il problema è proprio la pressione limitata che i genitori, da soli, possono opporre al dominio incontrastato di questi modelli, principalmente dettati dalla scatola magica (la TV), per cui l'importante è la performance e la mercificazione del corpo diventa tristemente ordinaria.
Io dico - e non penso di essere troppo originale - che il problema sta nel mezzo.
Anche le generazioni che ci precedono direttamente sono state, specialmente nel corso degli ultimi 25 anni, bombardate dagli stessi stereotipi e dalle stesse degradanti pratiche che si rimproverano adesso ai giovanissimi. Queste generazioni, ora diventate appunto 'di genitori', hanno una scala di valori alterata dal consumismo sfrenato, dalla caduta di qualsivoglia ideale politico (e con questo voglio riferirmi anche all'idea di bene pubblico), per non parlare della diseducazione che hanno subito a loro volta in ambito sessuale: da profeti di una rivoluzione libertaria a prime vittime di un nuovo killer, l'HIV, di cui ancora non dimostrano di sapere molto. Regna la confusione, ma l'unico messaggio che passa è quello di arrivare più in alto possibile, con ogni mezzo; perchè è facile far sentire il peso delle proprie aspettative su un ragazzo, anche quando si è per lo più assenti. E così ecco la mancanza di umanità e la deriva verso episodi come quello che ha portato a questa sentenza.
Il prolema, però, sta nel mezzo - ho detto. Sì, perchè ad un certo punto si cresce, ad un certo punto non ci si può nascondere solo dietro i cattivi o mancati esempi, ad un certo punto abbiamo anche scoperto che alcune teorie sull'essere 'tabulae rasae' erano piuttosto limitate...ed allora si deve crescere, ci si deve prendere le proprie responsabilità di essere persone che agiscono in quanto esseri autonomamente pensanti.
L'educazione conta, ed è indubbio, ma spesso anche l'animo dell'educando può fare la differenza.